martedì 13 ottobre 2009

12 Ottobre 1492


Un nuovo 12 Ottobre


E’ passato il tempo in cui il 12 ottobre [ricorrenza del 12 ottobre 1492 NdT] era festeggiato come il “Giorno della Razza”, e in cui gli indios erano obbligati, con cinismo, a festeggiare omaggiando Cristoforo Colombo. Il genocida veniva ricordato come un eroe, un padre fondatore della nazionalità.

La prima generazione dei leader indios (Constantino Lima, Salvador Palomino…) che ebbero la possibilità di condividere il loro pensiero nell’ambito di una sollevazione continentale, denunciò il colonialismo degli stati latinoamericani; i programmi di acculturazione e assimilazione dell’indigenismo allora furono definiti un vero etnocidio, una forma più sottile di genocidio.

La resistenza al colonialismo fu identificata come il paradigma delle lotte indigene, l’indianità affrontò con coraggio e chiarezza di pensiero il compito della decolonizzazione, e si prese in considerazione la necessità della presa del potere.

Nel decennio degli anni 70’ i popoli si diedero al compito febbrile dell’organizzazione, costruendo le storiche organizzazioni indigene nazionali del continente. Il popolo organizzato divenne protagonista di ribellioni e blocchi stradali per sensibilizzare i gruppi di potere (i bianchi) sull’esistenza di popoli e culture diverse dalla creola ispanica. L’organizzazione ha contribuito alla crescita della coscienza, che a sua volta ha richiesto la costruzione della memoria storica: Chi siamo? Dove andiamo? Inizi degli anni 90’, vigilia dei 500 anni di resistenza, si forma il paradigma indio della ricostruzione. L’invasione, il colonialismo, si sono espressi mediane la distruzione dell’unità politico territoriale. Il Tawantinsuyu fu squartato come il corpo di Tupa Amaru Inka, e il destino del Qullasuyu non fu diverso. Francisco del Toledo, il viceré colonizzatore, lasciò in piedi solo la marka/llaxta trasformandolo in un paese di confine. Dopo l’indipendenza, i creoli presero d’assalto l’area per impossessarsi delle terre delle comunità e per sottomettere definitivamente gli indios. La decolonizzazione non poteva avere altra strada che quella della ricostruzione, come nel mito di Inkarri (re Inka) la testa si unisce al corpo per creare pachakuti, la società indigena ristabilisce le sue istituzioni sociali: lo ayllu come cellula che ricostruisce il tessuto sociale.


Gli Indios contro Colombo.


Dal Columbus Day al giorno della resistenza indigena, contro un genocidio dimenticato.


Mentre le istituzioni statunitensi festeggiano ufficialmente l’anniversario dello sbarco di Cristoforo Colombo nei Caraibi come l’inizio della storia americana e della gloria a stelle e strisce, migliaia di persone in tutto il continente vivono il 12 ottobre come un momento di riflessione e protesta. Appellandosi al concetto che l’arrivo degli europei in America ha segnato la morte di milioni di indigeni e la fine della libertà, tutte le organizzazioni indios si mobilitano per manifestare pubblicamente il proprio dissenso e chiedere il rispetto dei propri diritti. “In questo giorno, comunemente utilizzato per celebrare il genocidio coloniale sotto il nome di Giorno della Scoperta – spiegano i responsabili del movimento Pachamama, che ha organizzato marce di protesta nelle capitali sudamericane - appoggeremo i movimenti autonomi della Rivoluzione Bolivariana del Venezuela (in riferimento alle lotte di emancipazione guidate da Simón Bolivár contro l’impero spagnolo nel XIX secolo), le ribellioni emergenti della Pachamérica e solidarizzeremo con tutti i popoli che lottano nel mondo. “Dal profondo delle nostre radici indigene, nere, bianche e meticce, sorge una forma particolare di lotta, che si può riassumere in pochi concetti: Pacha è la parola quechua per Terra, mentre America è il nome coloniale che imposero i conquistatori al nostro continente. Con la Pachamerica, quindi, rivendichiamo la nostra visione indigena della Pachamama, la Madre Terra, ed in questo senso vediamo la nostra lotta fraternizzare con tutti i popoli del mondo che lottano contro il capitalismo, il colonialismo, il razzismo, il sessismo e tutte le forme di repressione. Chiamiamo Pachamérica il continente compreso tra l’Alaska e la Patagonia, che consideriamo abitato da un popolo unito, che trascenda la visione di un’America Latina separata da un Nordamerica, dato che sono concetti imposti da una visione coloniale che ignora la nostra storia indigena. In questo modo crediamo che al di là dell’essere latinoamericani o nordamericani siamo pachamericani, perché il nostro continente è multiculturale, variegato e infinito…ma unito”. La visione “Pachamericana” cerca di staccarsi da una parte da quella sorta di sciovinismo latinoamericano che si crede isolato dal resto del mondo e dall’altra dall’atteggiamento paternalistico che molte volte porta il mondo industrializzato a esprimere la necessità di solidarizzare con i “poveri indios”. “Nella nostra visione – spiegano – cerchiamo di includere tanto i popoli degli Stati Uniti e del Canada, con le loro lotte indigene, nere, femministe, operaie, gay, che i popoli che abitano a sud del Río Bravo e arrivano fino alla Terra del Fuoco. E’ altrettanto importante aggiungere che, sebbene Pachamérica si riferisca al nostro continente, è una visione che non si limita ai nostri confini geografici, ma è sorella di tutti i popoli che lottano su questa Terra, sulla Pachamama”. Quindi l’appello alla mobilitazione. “Facciamo appello a tutti i movimenti sociali che lottano contro il neoliberismo e le istituzioni del capitalismo globale (WTO, FMI, G8, ecc.), così come ai popoli che lottano nel mondo per la dignità, l’autonomia e l’umanità, affinché escano per le strade il prossimo 12 di Ottobre in appoggio alle lotte di tutta la Pachamérica e in particolare del Venezuela”. “Senza dubbio – concludono - in questo paese si sta arrivando ad un punto cruciale del processo rivoluzionario bolivariano, delineatosi con il referendum dello scorso 15 di agosto. Una situazione che riguarda i movimenti popolari che appoggiano il presidente eletto Hugo Chávez contro le politiche di intervento degli Stati Uniti nella regione (Plan Colombia, ALCA, ecc.), ma che pure cercano di sottrarsi al controllo delle élites burocratiche e corrotte che si sono infiltrate in questo processo politico con l’intento di convertirsi in una nuova classe dominante. Rallentare il processo di cambiamento è l’intento di queste elites, fregandosene dei risultati del referendum e continuando la svendita del paese alle corporazioni transnazionali. In questo senso, la vittoria in Venezuela non la si può guardare da un punto di vista semplicemente elettorale; questa vittoria si definirà nelle strade e con la lotta quotidiana delle comunità organizzate. La Rivoluzione Bolivariana, a ben vedere, non è la rivoluzione di un leader, ma di un popolo che, unendo le proprie forze a quelle degli altri popoli che lottano nel mondo, rifiuta di continuare ad essere schiavo. E’ nostro dovere, quindi, difenderne il processo di radicalizzazione”.

giovedì 8 ottobre 2009

Toño ti ricordiamo così

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IL SOLE SPLENDA CALDO E MITE PER TE,
NELLA NOTTE PIU' NERA BRILLI QUALCHE STELLA.
LA MATTINA PIU' TETRA TI OFFRA UN PO' DI LUCE.
E QUANDO SCENDERA LA SERA, DIO TI TENDA LA MANO.

domenica 13 settembre 2009

APPELLO

Questo appello è un'iniziativa di solidarietà con i popoli indigeni e dell'Amazzonia in Perù, in lotta per la difesa della loro terra e della loro cultura ancestrale. Questa terra e questa cultura sono oggi violate e minacciate dal governo peruviano, il quale -alleato con l'imperialismo, le multinazionali e la Destra (soprattutto l'APRA - Alianza Popular Revolucionaria Americana, Unidad nacional ed il movimento che si rifà a Fujimori) - ricorre a decreti esecutivi incostituzionali, in coerenza con la firma messa dal Perù sull'accordo con gli USA noto come NAFTA.


Le comunità indigene e dell'Amazzonia nella giungla peruviana (specialmente a Loreto, San Martín, Amazonas, Ucayali, Huánuco, Cuzco e Madre de Dios) stanno suonando ancora una volta i tamburi di guerra per la lotta e la resistenza contro la minaccia portata contro di loro dal modello economico neoliberista supportato dal governo peruviano (guidato dal partito Aprista).

Questo intenso processo di lotta degli indigeni dell'Amazzonia scaturisce dalle decisioni del governo peruviano, il quale contravvenendo ai trattati internazionali sottoscritti, sta sistematicamente violando la Convenzione dei Popoli Indigeni e Tribali, nota come Convenzione n°169, stabilita dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro, con cui si sancisce la preventiva consultazione obbligatoria dei popoli indigeni su qualsiasi intervento di pianificazione riguardi le loro terre, convocando gli appositi organismi delle comunità. In altre parole, il governo Aprista ha iniziato (o meglio, ha ricominciato) una nuova campagna di inopinata sottrazione, e di vendita alle multinazionali più generose, di terre che per storia e tradizione appartengono a tutte le comunità (Wajún-Wampis, Kichuas, Arabelas, Huaronis, Pananujuris, Achuar, Murunahus, or Chitonahuas, Cacataibos, Matsés, Candoshis, Shawis, Cocama-Cocamilla, Machiguengas, Yines, Asháninkas, Yaneshas ed altre, comprese le popolazioni "non contattate"), che oggi rivendicano il loro diritto ad esistere e resistere.



Il ruolo dello Stato peruviano.

La Legge n°20653, la Legge Generale sulla Comunità dei Nativi, che venne approvata nel giugno 1974 dal regime militare del generale Juan Velasco Alvarado, riconosce la "legale esistenza e la identità giuridica dei popoli indigeni dell'Amazzonia e dei loro territori, dichiarandoli inalienabili, irrevocabili ed inviolabili". Questa legge venne confermata con la Costituzione del 1979. Ma è stata stralciata con un semplice tratto di penna dalla Costituzione di Fujimori nel 1993, per spianare la strada alla confisca ed al saccheggio delle terre ad opera dei governi successivi, aprendo così le porte al NAFTA (North American Free Trade Agreement), recepito con una legge effetto dei decreti esecutivi del secondo governo Aprista. Non dobbiamo dimenticare il fatto che con la Costituzione Fujimori del 1993 si lascia aperta la porta al saccheggio delle risorse del paese. Quindi è chiaro che era già iniziato il lavoro per soffocare ed isolare le comunità, a tutto vantaggio dell'avidità delle multinazionali che ci guadagnavano in concessioni per l'estrazione di petrolio, gas, minerali, per il turismo ed il disboscamento in aree tradizionalmente appartenenti alle popolazioni che vivono in quelle terre.


In altre parole, veniva lastricata la strada perchè lo Stato potesse dichiarare che le terre dei popoli native erano "disponibili in base all'economia di mercato", ricorrendo a decreti esecutivi che bypassavano il Parlamento. Ancora una volta lo Stato peruviano si è dimostrato non essere altro che uno strumento di dominio e di sfruttamento nelle mani della classi sfruttatrici di questo paese, le quali stanno cercando di continuare il processo di esproprio non solo dei diritti politici, ma anche delle risorse dei popoli indigeni (nativi), che ora sono in rivolta contro il potere degli oppressori.












La lotta dei popoli indigeni di Abya Yala.
Nel contesto dello Sciopero Generale Popolare Indigeno, si è svolto nel Puno, una delle regioni meridionali del Perù, un importante meeting delle comunità native delle Ande. Questo incontro è stato denominato 4° Summit Continentale dei Popoli Indigeni e delle Nazioni di Abya Yala e si è concluso il 31 maggio scorso, con un accordo unanime per il rispetto della madre terra e delle sue risorse naturali, con un forte respingimento della privatizzazione dell'acqua, della presenza delle multinazionali e del modello economico neoliberista.. Questo accordo è stato incluso nella "Dichiarazione di Mama Quta Titikaka" (il Lago Titicaca, sul confine tra Perù e Bolivia), con cui si lancia per giugno una mobilitazione dei vari organismi sociali ed indigeni, in difesa dei popoli dell'Amazzonia, insieme ad un appello per manifestazioni e proteste da fare sotto le sedi diplomatiche peruviane in ogni paese. E' importante in sé, sottolineare la natura di questo vertice indigeno, che è stato del tutto autogestito, con un'organizzazione cara ai militanti libertari. Nelle Raccomandazioni Conclusive, il vertice auspice la "costruzione delle Comunità Plurinazionali dei Popoli, basate sull'autogoverno e sulla libera determinazione di ogni popolo". Parimenti, si denuncia il ruolo della stampa ufficiale dedita alla disinformazione, allo snaturamento o al silenzio su quello che sta accadendo nella giungla peruviana, in evidente collusione con la corrente neoliberista all'interno del governo e con i suoi leaders: Alan García, vice-presidente ed ammiraglio in pensione responsabile dei massacri nelle carceri durante il primo governo Aprista negli anni '80; Luis Giampietri, il primo ministro, Yehude Simon, già leader di sinistra che è stato persino imprigionato per le sue posizioni e che ora è il fedele custode della reazione Aprista. E' chiaro che per la borghesia che controlla lo Stato agli ordini dell'imperialismo, l'obiettivo è l'esproprio delle comunità. Si tratta al tempo stesso di un piano per distruggere la struttura di organizzazione sociale e di relazioni che lega le comunità tra di loro ed alla terra, una organizzazione sociale e relazionale che collide nella sua essenza con la concezione occidentale della proprietà e che quindi diventa un freno alla voracità del capitalismo multinazionale che sta cercando di radicarsi in queste zone, usurpandone i diritti grazie all'intervento dello Stato per farne dei feudi in cui sia garantita la prosperità ed il dominio degli sfruttatori. Il Presidente Alan García mente "subdolamente" quando dice che dei 63 milioni di ettari della giungla peruviana, solo 12 milioni appartengono alle comunità dell'Amazzonia; infatti sono invece 25 i milioni di ettari che appartengono alle comunità, come confermato da Alberto Piango, leader e maggiore esponente delle comunità in lotta, il quale è stato accusato di "minacciare la sicurezza nazionale e di danneggiamento dei servizi pubblici", insieme ad altri esponenti indigeni, Marcial Mudarra, i fratelli Saúl e Servando Puerta, Daniel Marzano e Teresita Antazu. Inoltre, Pizango è già stato incriminato per "ribellione, sedizione ed altre offese" dal Tribunale Criminale Provinciale di Lima e sta affrontando una terza incriminazione per "disturbo alla pace" presso il Tribunale Criminale Provinciale di Utcubamba, in Amazzonia. E' chiaro che questa serie di accuse ed in generale la repressione giudiziaria e politica fanno parte degli sforzi dello Stato per criminalizzare tutte le proteste popolari, per reprimere le giuste rivendicazioni sociali, e quindi poter negativamente influenzare l'opinione pubblica rappresentando i nostri fratelli e le nostre sorelle indigeni del Perù nient'altro che come "vandali o selvaggi, ignoranti incapaci di capire il progresso che porta la globalizzazione".


Credo che la lotta dei popoli indigeni, dell'Amazzonia e delle Ande, per la difesa della loro terra, del loro modo di organizzarsi, della loro cultura, sia parte di un programma minimo che comprende la conquista delle richieste dei popoli oppressi dallo Stato, dal capitalismo e dall'imperialismo. Questa piattaforma minima dovrebbe essere basata sulla necessità di usare l'azione diretta allo scopo di cacciare le multinazionali dalle terre dei popoli native. E' in gioco l'integrità e la sostenibilità dell'habitat e dell'ecosistema della regione - il quale, va ricordato, è uno dei "polmoni" del pianeta- unica garanzia per far sì che ci sia uno sviluppo sostenibile ed un uso pianificato della flora e della fauna, sulla base dei criteri stabilità dalle comunità. Inoltre, è necessaria un'azione di auto-difesa delle terre, che devono essere riportate alle condizioni originarie.. Credo dunque che la vera ed attiva solidarietà con la lotta dei popoli indigeni e dell'Amazzonia, prenderà la forma della protesta popolare (agitazione, propaganda, scioperi sindacali e scioperi popolari, azione diretta, etc.), per essere incorporata in una piattaforma generale di lotta basata su quella dei popoli nativi. Sostenere la giusta protesta dei popoli indigeni e dell'Amazzonia Come comunisti libertari che non si aspettano nulla dallo Stato (se non la sua distruzione), noi stiamo con la lotta dei popoli nativi quale parte immediata di un progetto più ampio per la liberazione di tutti i popoli sfruttati, e quindi parte di una più ampia strategia o di un programma massimo per la rivoluzione sociale. Per questa ragione, dovremmo sostenere le rivendicazioni che nel breve termine servono a migliorare le condizioni di vita e ad agevolare l'organizzazione sociale, politica ed economica dei popoli indigeni, con lo scopo di affrontare lo Stato sfruttatore e distruggerlo dall'interno, costruendo quei nuclei di potere popolare che abbatteranno quel gigante dai piedi di argilla che è il capitalismo, ferito a morte a livello globale da una crisi globale che non può risolvere se, come noi vogliamo, è la borghesia che deve pagare questa crisi e non i lavoratori. Per cui noi sosteniamo la lotta dei popoli dell'Amazzonia e delle loro varie comunità per cercare soluzioni immediate e per unirsi nelle seguenti rivendicazioni:
· Abrogazione di tutte le leggi che danneggiano o violano gli interessi delle Comunità Native e Rurali: cancellazione della Legge n°29317, la legge sulle Foreste e le specie selvatiche, che è il prodotto di una modifica forzata e parziale del Decreto n°1090 (la "Legge della Giungla") e dei decreti correlati n°1089, 1064 e1020. In altre parole, i 99 decreti che sono stati imposti ai popoli senza averli consultati.
· Rispetto per l'autonomia e l'auto-determinazione delle comunità native e per la loro attiva partecipazione politica nel processo decisionale. La decisione finale sull'approvazione o meno di regolamenti legislativi o di contratti per le concessioni, deve essere presa tramite strumenti di democrazia diretta (assemblee popolari, referendum, etc.).
· Benefici e servizi affinché le comunità ed i popoli nativi possano sviluppare le loro attività produttive, commerciali ed industriali, nella prospettiva del controllo diretto su questi processi da parte dei popoli stessi, basato sui principi dell'autogestione e della socializzazione.
· Benefici e servizi per promuovere e lanciare l'istruzione e la cultura all'interno delle comunità (per esse e da esse). Più scuole ed insegnanti qualificati per promuovere l'istruzione degli studenti nativi. In altre parole, sviluppo di un sistema educativo di alta qualità senza quelle tendenze alla competizione ed alla sopraffazione che il mercato mondiale del capitalismo richiede.
· Maggiori benefici derivanti dall'esplorazione ed estrazione di petrolio e gas da devolvere ai
popoli nativi, insieme alla costruzione di ospedali, strade e tutte le infrastrutture necessarie, previo approvazione da parte dei popoli stessi, gestite dalle stesse comunità tramite strumenti che diano loro il pieno controllo sulla amministrazione di queste infrastrutture.
· Immediata cessazione della campagna di criminalizzazione della protesta che il governo Aprista e la Destra peruviana stanno portando avanti, insieme alla fine della repressione contro gli attivisti sociali e fine degli altri mezzi psicologici di distrazione di massa per spostare l'attenzione del paese dai suoi veri problemi sociali. Solidarietà internazionale con la lotta dei popoli dell'Amazzonia in Perù!

Immediata abrogazione del Decreto che viola la sovranità dei popoli indigeni!

Per la libertà e la difesa del pensiero, della cultura e dell'auto-determinazione di tutti i popoli del mondo!

Contro l'autoritarismo dello Stato, organizzazione e lotta dal basso!

Basta col NAFTA e con gli altri trattati capitalisti!

Fuori dall'America Latina tutte le multinazionali imperialiste e tutte le basi militari americane Stop alla criminalizzazione della protesta; immediato rilascio degli arrestati nelle lotte!

Lunga vita alle lotte eroiche dei popoli indigeni di Abya Yala!

Siamo tutti Amazzoni!

Lunga vita a coloro che lottano!

giovedì 23 luglio 2009

DIFENDIAMO L'AMAZZONIA PERUVIANA


Le popolazioni indigene hanno protestato pacificamente per due mesi chiedendo di poter esprimere legittimamente i propri pareri nei decreti che contribuiranno alla devastazione dell’ecologia e delle popolazioni amazzoniche, e che saranno disastrosi per il clima globale. Ma lo scorso fine settimana il Presidente Garcia ha risposto: inviando forze speciali per sopprimere le proteste in scontri violenti e bollando i protestanti come terroristi.
Sul sito di Avaaz si può firmare un appello al Presidente Alan Garcia (che è notoriamente sensibile alla propria reputazione internazionale) affiché fermi immediatamente la violenza e si apra al dialogo. Clicca in basso per firmare l’urgente petizione globale ed un preminente politico latino americano molto rispettato la consegnerà al Governo per nostro conto.
Più del 70 per cento dell’Amazzonia peruviana adesso è pronta per essere afferrata. I giganti del petrolio e del gas, come la compagnia anglo-francese Perenco e le nord-americane ConocoPhillips e Talisman Energy, hanno già impegnato investimenti multimiliardari nella regione. Queste industrie estrattive hanno un record molto basso di benefici apportati alla popolazione locale e nella preservazione dell’ambiente nei paesi in via di sviluppo – motivo per il quale i gruppi indigeni stanno chiedendo il diritto di consultazione sulle nuove leggi, riconosciuto a livello internazionale.
Per decenni il mondo e le popolazioni indigene hanno assistito a come le industrie estrattive devastassero la foresta pluviale che è dimora per alcuni ed un tesoro vitale per tutti noi (alcuni climatologi chiamano l’Amazzonia "i polmoni del pianeta" – che inspira le emissioni di carbonio che provocano il surriscaldamento globale e restituisce ossigeno).
Le proteste in Perù sono le più forti e disperate mai espresse, non possiamo permettere che falliscano. Per firmare la petizione clicca qua sotto.
http://www.avaaz.org/it/peru_stop_violence

lunedì 20 luglio 2009

PERÙ: UN GOVERNO PER MASSACRARE GLI INDIGENI


Ha giurato il nuovo governo peruviano; è una svolta a destra dura e pura che prepara la strage del movimento indigeno che lotta per difendere l’Amazzonia e la repressione di tutti i movimenti sociali popolari e sindacali del paese: “sarà un governo che cercherà lo scontro per poter reprimere” ha dichiarato Mario Huamán, segretario generale della CGTP (Confederación General de Trabajadores de Perú), il principale sindacato del paese. Il 10 giugno scorso il parlamento peruviano non riuscendo, anche al prezzo di decine di morti, a imporre le leggi che, in osservanza al trattato di libero commercio Stati Uniti-Perù, consegnano l’Amazzonia peruviana allo sfruttamento da parte delle multinazionali minerarie, petrolifere, dell’acqua e del legname, aveva deciso una sospensione tattica di 90 giorni. Adesso con il giuramento del nuovo governo presieduto dal duro (e corrotto) Javier Velásquez Quesquén, già presidente del parlamento e fidatissimo del presidente Alan García nonché braccio destro in tutti i momenti più neri degli ultimi due governi dell’APRA (il partito di García, originariamente di centro-sinistra) viene lanciato un vero e proprio ultimatum che criminalizza la protesta sociale tanto nella selva dell’Amazzonia come nelle strade di Lima. Da adesso in poi verrà imposto l’ordine e chiunque protesta, sta male, non è d’accordo, si oppone all’ordine neoliberale, verrà criminalizzato e accusato di essere parte di un fantomatico “complotto chavista” come denuncia “La Repubblica” di Lima in un editoriale di Javier Diez Canseco. Le parole di García nella cerimonia di giuramento del suo terzo governo in tre anni sono state chiare nell’individuare un nemico esterno e interne da agitare e da colpire: “Vedo gravi pericoli che questo governo come gli anteriori deve affrontare, perché il conflitto ideologico sudamericano è oggi maggiore, più attivo e invasivo. L’agitazione cresce perturbando la tranquillità e la sicurezza del nostro paese”.Così a poco più di un mese da quella che sembrava una vittoria parziale e interlocutoria da parte del movimento indigeno peruviano con i sondaggi tutti contro (una costante dei governi fondomonetaristi peruviani con il popolo che però poi finisce per un motivo o per l’altro per eleggere sempre un altro “vendepatria”, essendo addirittura recidivo nel caso di Alan García) gioca il tutto per tutto. Il potere economico di fatto, forte della firma del predecessore di García, Toledo, sul TLC che è una sorta di Costituzione neoliberale del paese, pretende di incassare i dividendi e a García non resta che la trasformazione del proprio traballante governo in un regime che fa della repressione il proprio punto di forza. Non può far altro (dal suo punto di vista) se solo la multinazionale petrolifera Perenco arriva con un assegno di due miliardi di dollari di investimenti.Intanto organismi come la “defensoria del pueblo”, la APRODEH e altre ONG in difesa dei diritti umani continuano inascoltate dai grandi media a lanciare l’allarme sulla situazione dei diritti umani, civili, sindacali nel paese e alla criminalizzazione della protesta sociale nel paese.